04 Mar Coltivare cannabis è reato
LA QUESTIONE
La Corte di Appello di Ancona ha confermato la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Fermo nella parte in cui l’appellante è stato ritenuto responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, per avere coltivato piante di canapa indiana e detenuto 85 grammi di marijuana.
Avverso la sentenza, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando, tra gli altri, la violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento della detenzione della sostanza per uso personale. In particolare, secondo il ricorrente, il dato quantitativo di per sé non può ritenersi determinante ai fini dell’esclusione dell’uso personale, in assenza di comprovate condotte di cessione e spaccio.
LA DECISIONE
la Corte di Cassazione, nel disattendere la tesi difensiva, ha affermato che, a seguito della recente sentenza delle Sezioni Unite intervenuta in data 19 dicembre 2019, il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente.
Tuttavia, devono ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che, per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale del coltivatore.
Cass. pen., Sez. VI, sent. 4 febbraio 2020, n. 4666