28 Gen Licenziamento GMO: onere di “prospettazione” e di “prova” del datore di lavoro
Tre recenti decisioni di legittimità (sentenze n. 29099 del 11/11/2019, n. 31520 e n. 31521 del 03/12/2019) forniscono l’occasione per riflettere sugli “oneri” – anche probatori – gravanti sul datore di lavoro nel caso di soppressione di una specifica posizione lavorativa per ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro (giustificato motivo oggettivo).
La Suprema Corte ha inteso far chiarezza sull’estensione dell’obbligo di repechage in relazione alle “mansioni inferiori”, precisando che la verifica debba essere condotta solo su quelle che “siano compatibili con il bagaglio professionale del prestatore” oppure su quelle che “siano state effettivamente già svolte contestualmente o in precedenza”.
L’esistenza di una posizione lavorativa libera caratterizzata da “mansioni inferiori” non impone dunque il reimpiego del lavoratore a rischio di licenziamento purché il datore di lavoro sia in grado di “provare – in base a circostanze oggettivamente dimostrabili – che il lavoratore non abbia la capacità professionale richiesta per occupare la diversa posizione libera in azienda (…)” (le “mansioni inferiori”, in particolare, non devono essere “disomogenee e incoerenti” con le competenze del lavoratore).
Simmetricamente, l’obbligo di repechage è da ritenersi soddisfatto laddove il datore di lavoro, pur avendo prospettato “la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori compatibili con il suo bagaglio professionale”, non abbia ottenuto il consenso del lavoratore.
Tale ultimo principio di diritto andrà peraltro coordinato con la nuova formulazione dell’art. 2103, c. 2 c.c. in ordine al potere di mutare in peius le mansioni del lavoratore (le fattispecie esaminate dalla Suprema Corte si riferiscono al periodo anteriore all’entrata in vigore del D.lgs. n. 81/2015).