30 Mag QUANDO IL CONVIVENTE RISPONDE DI CONCORSO NEL REATO DI SPACCIO DI SOSTANZA STUPEFACENTE
LA QUESTIONE
Con sentenza del 05/06/2018, la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale era stata affermata la penale responsabilità di un soggetto per il reato di cui all’art. 73 comma 4 D.P.R. n. 309 del 1990, per aver detenuto, in concorso con il fratello, una serie di piante di marijuana rinvenute, appese ad essiccare, all’interno di un box, ubicato nell’area di proprietà della famiglia dove insistevano, tra gli altri, le abitazioni dei due coimputati. Avverso la suddetta sentenza, il soggetto ha proposto ricorso in cassazione, rilevando, tra gli altri, l’insussistenza dei presupposti per ravvisare, nel caso di specie, il c.d. concorso di persone nel reato, posto che l’imputato non aveva fornito alcun contributo causale all’azione delittuosa ed, anzi, il di lui fratello si era addossato la responsabilità esclusiva. Sicché, a dire della difesa, la condotta meramente passiva di mancata opposizione dell’imputato alla detenzione della droga da parte del fratello, poteva rivestire soltanto gli estremi della connivenza non punibile.
LA DECISIONE
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il suddetto motivo, puntualizzando, innanzitutto, come la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto sia da individuarsi nel fatto che la prima postula che l’agente mantenga un comportamento passivo,inidoneo ad apportare alcun contributo causale alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un consapevole contributo positivo (morale o materiale), così da agevolare o rafforzare il proposito criminoso del concorrente. Ne discende che deve escludersi il concorso del convivente nel reato ogni qualvolta costui assuma un semplice comportamento negativo ed inerte, limitato all’assistere passivamente alla perpetrazione del reato, non impedendo od ostacolando l’esecuzione. Del resto, il solo comportamento omissivo di mancata opposizione alla detenzione di droga da parte di altri non costituisce segno univoco di partecipazione morale. Di contro, per la configurazione del concorso, occorre un quid pluris e, dunque, una volontà di adesione all’attività criminosa, ad integrare la quale è sufficiente una qualsiasi forma agevolativa della detenzione medesima.
Cass. pen. sez. III, 02 maggio 2019 (ud. 05 febbraio 2019), n. 18015